Tra le tante definizioni del verbo divulgare quella che preferisco è la seguente (Dizionario della lingua Italiana, Devoto – Oli): “rendere accessibile a un maggior numero di persone, per mezzo di una esposizione piana, non eccessivamente tecnica”. Essa, infatti, contiene tutti gli elementi che, secondo me, dovrebbero guidare il lavoro di un buon divulgatore: 1) accedere al maggior numero di persone, tenendo conto che il livello di istruzione può essere molto variabile e che persone anche molto colte in determinate aree del sapere sono, o possono essere, del tutto incolte nella disciplina che si vuol divulgare. Ne deriva, come conseguenza, il punto 2) l’esposizione non deve essere solo chiara, ma soprattutto piana, cioè fatta utilizzando un linguaggio non tecnico o, nel caso fosse necessario utilizzare termini tecnici, spiegarli esaurientemente in modo che il lettore non inciampi in qualcosa di incomprensibile che non gli permette di capire il significato del testo. Dunque, punto 3), l’esposizione non deve essere eccessivamente tecnica, altrimenti diventa ostica, poco comprensibile e noiosa per i non addetti ai lavori, naturalmente senza arrivare al limite della banalità. Dare applicazione a questi tre punti può sembrare semplice, ma non lo è affatto. Molti uomini di scienza sono talmente dotti nella propria materia specifica da ritenere ovvi termini o concetti che, per la stragrande maggioranza dei non addetti ai lavori, ovvi non sono affatto. Nelle votazioni per il Premio Divulgazione Scientifica io mi sono attenuto proprio a questi tre principi, abbassando il voto ad opere di alto contenuto scientifico, ma scritte in maniera troppo tecnica e, quindi, difficili da capire.

Fatta questa premessa, che mi sembra essenziale per rispondere alla domanda poiché se non è comprensibile la divulgazione scientifica non serve proprio a nulla, veniamo al punto: a cosa serve? La risposta può essere banale: a far conoscere al grande pubblico i segreti che la Scienza custodisce nelle torri d’avorio dei laboratori di ricerca. Ma siamo certi che il grande pubblico abbia davvero voglia di conoscere questi segreti o, più in generale, di conoscere di più riguardo alla Scienza? Una risposta potrebbe venire dall’andamento delle vendite di pubblicazioni (libri o riviste) che abbiano questo fine. Le buone riviste italiane di divulgazione non sono molte (Le Scienze, Focus, Sapere e poche altre), ma durano nel tempo, il che significa che sono abbastanza lette ed apprezzate. Uno dei programmi più apprezzati e longevi della televisione è Quark, magistralmente prodotto e condotto dalla famiglia Angela. Per quanto riguarda i libri ho l’impressione che le cose non vadano benissimo. Anche i migliori divulgatori non riescono a raggiungere i livelli di vendita di romanzucoli di nessun valore, tanto che ha suscitato molto scalpore l’exploit di “Sette brevi lezioni di Fisica” di Carlo Rovelli, campione di vendite per parecchie settimane. Ciò significa che quando la divulgazione scientifica è ben fatta il pubblico è disponibile.

Purtroppo nel nostro paese la divulgazione scientifica è decisamente sbilanciata verso l’ambito biomedico. Ciò dipende dal fatto che il pubblico ama conoscere quel che avviene in questo settore soprattutto per ragioni egoistiche. Vuole essere rassicurato sulla propria salute e gli editori si adeguano a questa richiesta. Il principale quotidiano italiano (ma non è il solo) dedica nella edizione domenicale una diecina di pagine alla divulgazione medica: il Corriere della Salute. Mai passerà dalla testa del direttore o di qualche redattore l’idea di dedicare alcune pagine ad un Corriere della Fisica, della Matematica, o della Geologia. Ritengo, inoltre, che quel tipo di divulgazione medica sia del tutto controproducente perché forma una pletora di persone convinte di saperne più dei medici sulla salute propria e di parenti e amici con la conseguenza di dedicarsi spesso alla autodiagnosi e all’autoprescrizione con conseguenze talvolta nefaste.

La finalità della divulgazione scientifica dovrebbe essere, a mio avviso, quella di informare il grande pubblico sullo sviluppo della Scienza nelle sue tante branche e sui progressi scientifici. Così come vengono riportate dai media le ultime notizie di politica, economia, sport ed arti varie anche la Scienza dovrebbe avere uno spazio per divulgare le nuove scoperte e le loro possibili conseguenze. E’ altrettanto importante informare il pubblico sullo stato dell’arte della Scienza. Molto spesso leggiamo sui giornali le (giuste) lamentele delle Università e dei Centri di Ricerca sulla carenza di personale e di fondi. Ma i lettori per lo più non capiscono perché si dovrebbero investire milioni di euro nella ricerca se non viene loro adeguatamente spiegato perché si fanno determinate ricerche, perché è importante investire nella ricerca, che finalità ha la ricerca. Tutti ci siamo entusiasmati per il lungo viaggio nello spazio della nostra astronauta Cristoforetti, ma ben pochi sanno perché si sono spesi tanti soldi per un viaggio così avventuroso. Pochissimi sanno perché si sono investiti milioni di euro alla ricerca di un incomprensibile bosone di Higgs. Nessuno sapeva (e pochi ancora sanno) perché negli anni ‘80 del secolo scorso più centri di ricerca si sono intestarditi a cercare i geni Hox in un moscerino. Far comprendere l’importanza, non solo applicativa ma anche di conoscenza di base, di queste e di molte altre ricerche è il compito della divulgazione scientifica, fino a far innamorare, soprattutto i giovani, della ricerca in qualsiasi ambito delle Scienze, a sedurli (nel senso etimologico di portarli a sé). Ma il fine ultimo credo sia quello di far sì che il maggior numero di persone si convinca che la cosa più importante per ogni essere umano è conoscere.

Erminio GiaviniUniversità degli Studi di Milano (novembre 2015)